Valetalgei ha amici di parola e il collega giornalista Giovanni Marzini concede il bis entro la fine dell’anno. Aveva promesso di farci digerire, ma occhio al cenone di San Silvestro o al pranzo di Capodanno perché il bis è per nulla banale. Rilegge, anche alla luce del Covid, la “mutazione tv” e digitale che ha avuto il nostro basket: fu vera gloria?!
di Giovanni Marzini
Il basket, ma sarebbe più giusto dire l’intero movimento sportivo, quello professionistico soprattutto, sono nuovamente sotto attacco. L’illusione del #ne siamo fuori, piuttosto che dell’ormai celeberrimo #andratuttobene è durato lo spazio di una… variante. E le immediate conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: squadre in quarantena per focolai Covid, partite rinviate, calendari stravolti, regolarità sportiva dei campionati largamente compromessa. E non basta: il propagarsi dei contagi, nonostante i vaccini, costringe a rialzare la guardia e ad abbassare le percentuali di capienza all’interno dei palazzi, penalizzati ancor più degli stadi. Omicron si è alzato dalla panchina e pretende di scendere in campo, pedina straniera indesiderata nei nostri quintetti.
Ma i problemi del nostro amato sport non portano solo la firma del virus. Partono forse da lontano, da ancor prima che la pandemia iniziasse a condizionare, come ha fatto, molte componenti del nostro vivere, non ultimo lo sport: quello praticato e quello vissuto vestendo i panni del tifoso. Certe scelte, chiamiamole di marketing comunicativo-promozionale, solo più tardi sono poi incappate nella pandemia che ha finito per stravolgere la nostra fruizione dello spettacolo-basket. La scelta di rincorrere il calcio di serie A e la pallacanestro Nba, spalmando gli orari d’inizio delle partite a beneficio delle piattaforme televisive, ha finito col trasformare la giornata di campionato in un variegato quanto appetitoso menù servito a prezzi stracciati al “tifoso da poltrona”. Non più all’appassionato che fa il tifo, soffre e gioisce sul seggiolino di un palasport.
A testimoniare questo malessere c’è stata la riprova dell’ultimo match del 2021 all’Allianz Dome: a vedere Trieste che per prima fermava la corazzata Armani c’erano 2.100 spettatori paganti. Il 50 per cento dei 4.200 posti disponibili, con capienza al 75 per cento. Nella stessa città che solo qualche anno fa lasciava fuori dal palaRubini centinaia di appassionati, perché 7.000 tagliandi andavano a ruba in poche ore. D’accordo, oggi siamo in piena pandemia: la gente più di qualche giustificato timore ce l’ha e tifare con la mascherina addosso non è poi il massimo. Ma siamo così certi che, una volta superata l’emergenza sanitaria, saremo poi capaci di lasciar stare quel telecomando e tornare ad acquistare un biglietto per vedere una partita dal vivo? Spendendo, magari, in una sola domenica al palazzo quello che sborsiamo per un abbonamento tv? Siamo proprio così sicuri di aver fatto bene a svendere, ma forse sarebbe meglio dire regalare il prodotto-basket alle televisioni senza distribuire alle società nemmeno le briciole di quanto, invece, portano a casa i club del nostro calcio?
Nella consapevolezza che – come per altro avvenuto nel calcio – dagli orari “spezzatino” difficilmente si tornerà indietro, non resta che prendere atto che anche il basket è diventato un mero prodotto digitale, da consumare via satellite o in streaming: su tv, tablet e telefonini. Permettetemi allora solo un pizzico di malcelata nostalgia, ripensando alle nostre domeniche pomeriggio degli anni ’70, ’80 e ’90, quando la palla a due si alzava alle 17.30 su tutti i campi e c’era spazio anche per quel “Tuttobasket” che riecheggiava nelle radioline al palazzo per sapere se le dirette avversarie magari avevano perso una posizione in classifica. Il basket in tv allora ci andava per un solo anticipo il sabato o nel primo pomeriggio della domenica. Ma in tutti i palasport un quarto d’ora prima della palla a due non c’entrava manco uno spillo! Aspettiamo il post-Covid allora e incrociamo le dita, sperando di ritrovarci in massa sotto le volte di palazzetti sempre più belli e pieni di entusiasmo. Ma non sarà un percorso di riavvicinamento facile, né tanto meno breve.